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di Michelangelo Frammartino, con Giuseppe Fuda, Bruno e Nazareno Timpano
(Italia, 2010)
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Quattro volte, quattro rinascite: in un pastore, un capretto, un albero, una carbonaia. Dalla condizione umana a quella animale, alla vegetale, alla minerale. È la visione cosmica, l'itinerario comune, certamente straordinario (a scelta, poetico, filosofico, civico o insopportabilmente contemplativo) proposto da un cineasta milanese, architetto di formazione, che già aveva filmato la decadenza del proprio villaggio natio nella Calabria con l'affascinante IL DONO (2003). Documentario implacabile, che segue le capre mentre scorrazzano divertite al pascolo, così come spia l'anticipatorio incupirsi del vento nelle fronde autunnali. Poi, con la stessa osservazione atemporale, attenta soltanto agli echi dei suoni, dimentica di parole ormai superflue, l'azione dell'uomo: alla ricerca di un conforto che preluda alla propria fine, o immerso nel rituale paziente di un lavoro che trasformi in nuova forma di calore e di vita l'albero più alto del bosco, abbattuto per la festa fugace del villaggio. Poema di un'umiltà visiva (ma non di linguaggio: si veda lo straordinario, tragicomico piano-sequenza, con il cane che mette in atto la serie di conseguenze esistenziali del racconto) che lo solleva da un sospetto di compiacimento filosofico, LE QUATTRO VOLTE parte da una presa di posizione radicale che può anche disturbare; ma dall'approccio commovente, quasi animistico, più vicino al cinema orientale di Weerasethakul o del dimenticato Yong-Kyun Bae di Bodhi Dharma che al rigoroso processo intellettuale degli Antonioni, Olmi o Kiarostami. Una visione apparentemente estrema; ma ad essere estrema non sarà la normalità che ci viene propinata quotidianamente?
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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capolavoro
da vedere assolutamente
da vedere
da vedere eventualmente
da evitare
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